"Il Compagno segreto" - Lunario letterario. Numero 12  settembre 2007

 


 

n. 12 °*° W. Shakespeare : Fantasmi di Amleto  °*° n. 12

 

 24. Ofelia di Troia e altre trappole

 

 

 

 


 POLONIO: Io ho una figlia – ce l’ho finché è mia.

(Atto II, sc. 2)

  

 

That is the question! Ofelia non è di Amleto! Ofelia non è Giulietta che sceglie Romeo, e tanti saluti ai parents. Il bello, o il brutto, della dichiarazione di possesso di Polonio è che è vera nel modo più algido, tecnico, politico. Nella situazione di pericolo per lo Stato provocata dalla follia del popolarissimo principe, Ofelia è per il babbo ministro instrumentum regni : sarà l’esca per spiarlo, la maschera per non perderne né le intenzioni né i passi. Ofelia è sovrastata. Polonio la usa ma non la pensa; padre a una dimensione, non ha niente della struggenza o morbosità di altri padri shakesperiani, né è un Rigoletto che geme e si sdilinquisce per la povera Gilda: Pura siccome un angelo Iddio mi diè una figlia…

 

Ofelia sfregia il suo amore (posto che Ofelia ami) passando le lettere di Amleto al padre (Atto II, sc. 2). Del resto il pensiero di amarlo non l’ha mai davvero travolta: «Monsignor Amleto è un principe fuori della tua sfera (out of thy star): / ciò non deve essere» (Ibid.), così Polonio si cita, davanti ai monarchi, per dire come parlò alla figlia che saprà solo disobbedire obbedendo.

Ciò non toglie che possa approfittarsi, della foia che il principe prova per lei, per usarla come cavallina di Troia per capirne la pazzia: posto che quest’ultima sia una di quelle porcate tipicamente genitoriali e quindi a fin di bene, nessuno si cura di spiegare ad Ofelia alcunché, né del resto lei mostra di dibattersi in un qualche conflitto.  Così, per quanto bene le si voglia, non si può non riconoscere non solo che a Ofelia manchino «le doti di iniziativa e di forza delle eroine comiche»  (N. D’Agostino, Nota a W. Shakespeare, Amleto, Milano 2004), ma anche l’impeto sfrenato e pasticcione di Giulietta. Svuotata di tutte queste potenzialità, forse però tutte allucinate nell’«amore» di Amleto, non le resta che l’afflato della sparuta supplice suicida (ma con un’esplosione di sex appeal nella follia finale).

 

 

 

Tutto del resto pare annunciarsi da subito.

Quando il padre politico dice al re e alla regina «Io lascerò libera mia figlia» (Ibid.), libera di far da esca a Amleto, usa un verbo, to loose, che vuol dire anche l’accoppiamento di cavalli. Dunque davvero Ofelia, Ofelia sempre tenuta a, disposta a cavallina di Troia per lo stallone impazzito. - Con tutte le giustificazioni per la poveretta, colpisce che la sventata, dopo essersi prestata al trucco, neppure sospetti che Amleto possa aver mangiato la foglia, e che il suo comportamento non aggiunga la sua pietruzza al peso di disperazione che nello spazio di pochi giorni ha ridotto il più fascinoso dei giovanotti («lo specchio della moda, il modello del gusto, l'idolo d'ogni suddito», Atto II; sc. 1) – così le povere parole sue – a codesta secca follia («Blasted with ecstasy», (Atto III, sc. 1).

 

Simmetria evidente tra la «trappola per topi» di Amleto e questa, in cui Ofelia fa da cavallo di Troia: sempre un complotto per vedere non veduti e liberamente giudicare la fisiognomica, le azioni, i toni, i silenzi: è pazzo Amleto? è un assassino Claudio? Mille indizi faranno più d’una prova? – Altro gioco di specchi, sebbene di dettaglio: Ofelia per far l’innocentina credibile deve far mostra di leggere un libro (per «dar colore alla vostra solitudine») così come nell’atto precedente era stato Polonio a incontrare Amleto solo che leggeva.

Alla trappola di Amleto, poi corrisponde simmetrica «la trappoliera» di Claudio, e cioè il viaggio in Inghilterra con Rosencrantz e Guildenstern per guide: Amleto ha capito tutto e, dicendolo alla madre, pare proprio che parli di Will Coyote: «Lasciate fare; perché è uno spasso vedere l’ingegnere andare in aria per il suo proprio petardo; e sarà proprio una disdetta se io non scaverò d’un metro sotto alle loro mine, e li farò saltare fino alla luna; oh, è cosa assai dolce, quando due trame direttamente s’incontrano su una stessa linea» (Atto III, sc. 4).

 


 

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