POLONIO: Io ho una
figlia – ce l’ho finché è mia.
(Atto
II, sc. 2)
That is the question! Ofelia non è di
Amleto! Ofelia non è Giulietta che sceglie Romeo, e tanti saluti ai
parents. Il bello, o il brutto, della dichiarazione di possesso di
Polonio è che è vera nel modo più algido, tecnico, politico. Nella
situazione di pericolo per lo Stato provocata dalla follia del
popolarissimo principe, Ofelia è per il babbo ministro instrumentum regni
: sarà l’esca per spiarlo, la maschera per non perderne né le intenzioni
né i passi. Ofelia è sovrastata. Polonio la usa ma non la pensa; padre a
una dimensione, non ha niente della struggenza o morbosità di altri
padri shakesperiani, né è un Rigoletto che geme e si
sdilinquisce per la povera Gilda: Pura siccome un angelo Iddio mi diè una
figlia…
Ofelia sfregia il suo amore (posto che
Ofelia ami) passando le lettere di Amleto al padre (Atto II, sc.
2). Del resto il pensiero di amarlo non l’ha mai davvero travolta:
«Monsignor Amleto è un principe fuori della tua sfera (out of thy star): /
ciò non deve essere» (Ibid.), così Polonio si cita, davanti
ai monarchi, per dire come parlò alla figlia che saprà solo disobbedire
obbedendo.
Ciò non toglie che possa approfittarsi,
della foia che il principe prova per lei, per usarla come cavallina di
Troia per capirne la pazzia: posto che quest’ultima sia una di quelle
porcate tipicamente genitoriali e quindi a fin di bene, nessuno si
cura di spiegare ad Ofelia alcunché, né del resto lei mostra di dibattersi
in un qualche conflitto. Così, per quanto bene le si voglia, non si può
non riconoscere non solo che a Ofelia manchino «le doti di iniziativa e di
forza delle eroine comiche» (N. D’Agostino, Nota a W. Shakespeare,
Amleto, Milano 2004), ma anche l’impeto sfrenato e pasticcione di
Giulietta. Svuotata di tutte queste potenzialità, forse però tutte
allucinate nell’«amore» di Amleto, non le resta che l’afflato della
sparuta supplice suicida (ma con un’esplosione di sex appeal nella follia
finale).
Tutto del resto pare annunciarsi da
subito.
Quando il padre politico dice al re e
alla regina «Io lascerò libera mia figlia» (Ibid.),
libera di far da esca a Amleto, usa un verbo, to loose, che
vuol dire anche l’accoppiamento di cavalli. Dunque davvero Ofelia, Ofelia
sempre tenuta a, disposta a cavallina di Troia per lo stallone impazzito.
- Con tutte le giustificazioni per la poveretta, colpisce che la sventata,
dopo essersi prestata al trucco, neppure sospetti che Amleto possa aver
mangiato la foglia, e che il suo comportamento non aggiunga la sua
pietruzza al peso di disperazione che nello spazio di pochi giorni ha
ridotto il più fascinoso dei giovanotti («lo specchio della moda, il
modello del gusto, l'idolo d'ogni suddito», Atto II; sc. 1) – così
le povere parole sue – a codesta secca follia («Blasted with ecstasy»,
(Atto III, sc. 1).
Simmetria evidente tra la
«trappola per topi» di Amleto e questa, in cui Ofelia fa da
cavallo di Troia: sempre un complotto per vedere non veduti e liberamente
giudicare la fisiognomica, le azioni, i toni, i silenzi: è pazzo Amleto? è
un assassino Claudio? Mille indizi faranno più d’una prova? – Altro gioco
di specchi, sebbene di dettaglio: Ofelia per far l’innocentina credibile
deve far mostra di leggere un libro (per «dar colore alla vostra
solitudine») così come nell’atto precedente era stato Polonio a incontrare
Amleto solo che leggeva.
Alla trappola di Amleto, poi corrisponde
simmetrica «la trappoliera» di Claudio, e cioè il viaggio in
Inghilterra con Rosencrantz e Guildenstern per guide: Amleto ha capito
tutto e, dicendolo alla madre, pare proprio che parli di Will Coyote:
«Lasciate fare; perché è uno spasso vedere l’ingegnere andare in aria per
il suo proprio petardo; e sarà proprio una disdetta se io non scaverò d’un
metro sotto alle loro mine, e li farò saltare fino alla luna; oh, è cosa
assai dolce, quando due trame direttamente s’incontrano su una stessa
linea» (Atto III, sc. 4).